OLYMPIA

Il dipinto Olympia fu realizzato da Édouard Manet intorno al 1863 e venne esposto al Salon des Refusés nel 1865, suscitando grande scandalo sia per gli elementi di quotidianità che annullavano ogni possibile riferimento alla tradizione mitologica, sia per la stesura pittorica piatta e compendiaria.
Manet, che mai accettò di esporre con gli impressionisti, aprì la strada alle loro ardite ricerche formali, riscoprendo una pittura fatta solo di colore steso rapidamente, che consentiva di immortalare la mutevole realtà quotidiana.
L'identificazione del dipinto di Manet con un tema mitologico è resa impossibile dalla presenza di moderni particolari di costume, quali il braccialetto, il cinturino stretto intorno al collo e le ciabatte, che portano la scena in una dimensione attuale.
Il titolo Olympia, derivato da un mediocre poemetto in versi, venne dato al dipinto solo dopo che fu terminato. Il soggetto, anche se ispirato alla Venere di Urbino dipinta da Tiziano nel 1538, rappresenta con crudo realismo una donna nuda semisdraiata su un letto disfatto. Ai suoi piedi vi è un gatto nero, mentre una domestica di colore sopraggiunge dal retro reggendo un variopinto mazzo di fiori, dono evidente di qualche ammiratore. Ma questo riferimento al maestro veneziano fu considerato blasfemo, perché Manet distrusse la visione tradizionale del nudo in un contesto mitologico. Cambia il cane di Tiziano, considerato simbolo della fedeltà, con un gatto. Le ancelle preparano il corredo per il matrimonio, la cameriera di Olympia reca un mazzo di fiori donato da un ammiratore. Venere appare affascinante nella sua dolce passività. Olympia ci guarda e ci sfida con arrogante sicurezza.
Lo scandalo fu duplice. In primo luogo si criticò la scelta del soggetto, da tutti ritenuto volgare e sconveniente in quanto si trattava di una prostituta rappresentata direttamente “sul posto di lavoro”. In secondo luogo si criticò ancora la tecnica pittorica di Manet, accusandolo di non saper modellare i corpi con il chiaroscuro e di usare i colori in modo primitivo.
Il corpo acerbo e sgraziato della ragazza, privo di morbide sinuosità con le quali i pittori accademici caratterizzavano tutti i nudi femminili di dee ed eroine della mitologia, è percorso da un realismo quotidiano, quasi casalingo e squallido, quindi non ritenuto degno di una rappresentazione artistica. Il senso di disagio che suscita nello spettatore, è esattamente l’opposto a quello che l’arte accademica si prefiggeva. La cruda nudità della ragazza viene ulteriormente sottolineata dal malizioso nastrino di raso al collo, mentre lo sguardo è beffardo, quasi di sfida. La posa ricorda da vicino alcune immagini pornografiche del tempo che, in seguito al maggior sviluppo della fotografia, cominciano a circolare clandestinamente nei salotti mondani. Infine, Olympia, era il nome d’arte di molte prostitute parigine dell’epoca.
Lo schema compositivo del dipinto segue una collaudata tradizione iconografica, con il letto e il corpo della donna visti longitudinalmente in modo da assecondare il taglio della tela. La posizione eretta della testa della donna si allinea con il profilo verticale della porta che si vede in secondo piano. La spazialità della scena è data dalla concretezza dei corpi e dalla posizione della figura della cameriera che si staglia di là del letto.
Il rinnovamento pittorico attuato da Manet è evidente nella stesura uniforme del colore, priva dei passaggi chiaroscurali della consolidata tradizione artistica. Nonostante ciò, l'immagine non è bidimensionale: Manet riesce a costruire forme e volumi attraverso la giustapposizione di tonalità diverse.